Così chiamato per distinguerlo dal padre omonimo, nacque a Parigi il 27 luglio 1824, ed è stato uno scrittore e drammaturgo francese. Autore di grande successo, è noto soprattutto per il romanzo La signora delle camelie, a cui si ispira La traviata di Giuseppe Verdi, e per le opere teatrali Le Fils naturel e Un Père prodigue. Nel settembre 1844 a Parigi conosce Marie Duplessis, con la quale intratterrà una relazione fino all’agosto del 1845.
La donna, morta nel 1847, gli ispirerà, appunto, “La signora delle camelie”, da cui trarrà l’omonimo dramma del 1852. Negli anni successivi affronta temi assai controversi per l’epoca quali la posizione sociale della donna, il divorzio e l’adulterio. Muore il 27 novembre 1895 nella sua proprietà di Yvelines, a Marly-le-Roi.
Alexandre Dumas (figlio), le frasi più belle
Ecco alcune delle frasi più celebri di Alexandre Dumas (figlio)
- Non c’è vera felicità se non quella di cui ci si accorge di godere. Il bambino è felice, è vero, ma siccome lo viene a sapere soltanto molto più tardi è come se non lo fosse mai stato.
- Quando Dio concede l’amore a una cortigiana, quest’amore che sembra un perdono, diventa quasi sempre un castigo. Non c’è assoluzione senza penitenza.
- Se Dio fosse improvvisamente condannato a vivere la vita che ha inflitto agli uomini, si ucciderebbe.
- Gli affari? Semplicissimo, sono i soldi degli altri.
- Si biasimano coloro che si rovinano per delle attrici o per delle donne galanti; io mi stupisco, invece, che non si facciano per loro delle follie assai maggiori.
- A ogni male ci sono due rimedi: il tempo e il silenzio.
- Infatuato, per metà dalla presunzione, per metà dall’amore della mia arte, io ottengo l’impossibile lavorando come nessun altro ha mai lavorato.
- Si compiange il cieco che non ha mai visto i raggi del sole, il sordo che non ha mai udito gli accordi della natura, il muto che non ha mai potuto rendere la voce della sua anima e, per un falso pudore, non si vuol compiangere quella cecità del cuore, di quella sordità dell’anima, di quel mutismo della coscienza che rendono folle un’infelice e, suo malgrado, la fanno incapace di vedere il bene e di parlare il puro linguaggio dell’amore e della fede.